Storia della chirurgia plastica: anestetici
L’intervento senza dolore: l’anestesia
Intervento chirurgico in passato per lo più era grottescamente sinonimo di dolori atroci e, nella maggior parte dei casi, il tragico epilogo era la morte. Le cause della grande mortalità da intervento chirurgico erano legate, oltre all’assenza completa della profilassi antisettica (neppure il semplice lavaggio delle mani…), alla mancanza della protezione, per l’organismo, dell’aggressione chirurgica stessa, come sanguinamento, dolore, paura.
Gli analgesici impiegati nell’antichità (sporadicamente e con scarsa efficaci) erano frutto delle conoscenze arabe di fitoterapia, come l’hascisc, la mandragora e l’oppio.
Solo nel 1846 William Thomas Green Morton (1819-1868), un dentista di Boston, dimostrò l’efficacia anestetica del protossido di azoto con alcuni esperimenti sugli animali e su se stesso. Già precedentemente, nel 1796, Priestley e Humphry Davy avevano scoperto ciò, e dopo 20 anni le ricerche continuarono ad opera di Faraday, che impiegò come anestetico l’etere di etilico. Parallelamente il chirurgo berlinese Johann Friedrich Dieffenbach (1794-1847) sembra destinato a voltare la pagina della storia medica quando per primo sperimenta l’etere in Europa affermando: “Il sogno è divenuto realtà: oggi è possibile eseguire operazioni senza dolore” , ma bisognò attendere Morton per l’impiego in chirurgia di queste sostanze.
Successivamente la cocaina venne introdotta come anestetico oculare e spinale e, nel corso dell’ultimo ventennio dell’800 si svilupparono tecniche anestesiologiche, come l’epidurale e la subaracnoidea, che ridussero l’alto rischio di morte legato all’anestesia generale.
A tutt’oggi l’anestesia locale, epidurale o locoregionale rappresentano la via di preferenza della chirurgia estetica futuribile. Il fatto di affrontare l’intervento chirurgico senza dolore è uno dei fattori principali che determinano il successo di un intervento di chirurgia estetica e la possibilità di localizzare l’anestesia al solo distretto operato fa sì che il paziente possa rimanere collaborante nella pratica chirurgica, evitando sensazioni sgradevoli al risveglio legate all’attività inconscia della mente che fantastica in modo morboso sulla ferita durante l’intervento.